03/02/2021 09:08
Non è un incontro di ordinaria amministrazione e questo va subito premesso, perché la riunione dei Responsabili Regionali prevista per le 18 di questo pomeriggio in video-conferenza, alla quale prenderà parte il consigliere Antonio Scocca (e forse ci sarà anche il presidente Luca Bergamini), avrà un compito ben preciso: dettare le linee guida per la ripartenza dell’attività regionale, con il documento che verrà espresso dal meeting che verrà successivamente presentato al Consiglio di Lega della LND che si dovrà esprimere in merito alle decisioni da adottare per i campionati periferici.
Dunque, si capirà quale sarà la tendenza complessiva in merito alla possibilità di riprendere i campionati interrotti oltre tre mesi fa, ma quella che verrà presa sarà comunque una decisione che si dovrà fondare soprattutto sulla ragione, considerando una serie di fattori che concorreranno nella scelta da adottare.
Se la curva dei contagi sta cominciando a scendere e la campagna vaccinale sta rivelandosi la soluzione definitiva al Covid, questo non equivale col pensare che il problema pandemico sia stato definitivamente risolto, assolutamente. Il vero handicap è rappresentato da due aspetti che allo stato delle cose sono inevitabilmente incastrati l’uno con l’altro: l’esiguità di tempo a disposizione per condurre al termine una stagione agonistica che possa avere una parvenza di tale nome e il gran numero di partite da dover giocare se l’intenzione comune sarà quella di rispettare i calendari originari. Finendo inevitabilmente per cozzare su un’altra problematica molto importante: la disomogeneità della situazione agonistica nei vari territori regionali.
A differenza dell’attività nazionale, coordinata da una struttura organizzativa centrale, l’attività regionale - come è ben saputo - è demandata alla gestione delle varie istituzioni periferiche, ossia i Comitati Regionali, che dispongono in maniera differente l’uno dall’altro sia le modalità di partecipazione che le formule di svolgimento, non ultime anche le norme in materia regolamentare, argomento questo dovrà diventare uno dei veri cavalli di battaglia della nuova governance Bergamini.
Questo sta a significare che mentre in alcune regioni i campionati sono stati avviati e si sono disputate diverse giornate di gara, mediamente dalle tre alle sei, e si parla di gironi standardizzati tra le 14 e le 16 squadre partecipanti, ce ne sono altre (leggasi Marche, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Basilicata) dove non si è nemmeno cominciato a giocare. Quindi, la domanda, inevitabilmente, da porsi è: che pesci prendere? Ma non solo sul piano organizzativo, bensì pure su quello normativo in relazione ai trasferimenti dei giocatori che molte società del regionale hanno accordato a moltissimi tesserati, per andare a giocare in club prevalentemente di Serie B: molti hanno sicuramente adottato la formula del prestito “a scadenza” verificata la temporaneità della necessità, ma questa in effetti è adesso diventata una problematica alla quale bisognerà dare una risposta.
Con la finestra dei trasferimenti la cui chiusura è slittata ulteriormente al 26 febbraio, considerando che la validità dell’ultimo DPCM è stata fissata al 5 marzo e solo dopo quella data sarà ipotizzabile una ripartenza, a quale scenario ci si verrà a trovare adesso di fronte considerando questa serie di condizioni? Per i giocatori che rientrerebbero dai prestiti temporanei, qualora i campionati regionali ripartissero, si verrebbe intanto a determinare un nuovo vuoto dell’attività agonistica ufficiale (ma è francamente il male minore), visto che dal 5 marzo bisognerà prevedere un adeguato lasso di tempo per consentire eventuali richiami di preparazione per affrontare il ritorno in campo. Questo renderebbe ovvio lo slittamento la ripresa dei campionati ben oltre la metà di marzo proprio mentre quelli nazionali sono avviati alla loro conclusione (l’ultima giornata è prevista per il 17 aprile), con il rischio che una buona parte di questi trasferimenti - se non preventivamente concordati - possano creare disequilibri tecnici nelle rose di quelle formazioni che ne hanno giovato, molte delle quali impegnate nella lotta per gli obiettivi.
Che fare allora? Per quest’ultimo aspetto pare logico che in via eccezionale, com’è accaduto ad esempio per la proroga dei termini di trasferimento, venga previsto un ulteriore allungamento della scadenza per consentire la regolare conclusione della stagione con le rose costituite con l’inizio del mercato di riparazione, il che imporrebbe una riconsiderazione complessiva di come veicolare in tempi della ripresa che, come detto in precedenza, dovranno considerare la disomogeneità della situazione nei vari campionati regionali e le strette tempistiche a disposizione affinché questi possano venir giocati.
Ma sul piano pratico quale decisione dovranno prendere i responsabili regionali per la ripartenza (ma a questo punto sarebbe meglio parlare di chiusura) della stagione agonistica nei vari distaccamenti periferici? Appare evidentemente impossibile arrivare a disputare tutte le giornate previste dai calendari originari (in Puglia, ad esempio, prevedendo la ripresa per sabato 20 marzo, come si potrebbero disputare le 24 giornate restanti nelle quindici settimane che separano quella data dalla conclusione naturale della stagione, playoff e playout esclusi?), come non sarebbe una soluzione sportivamente accettabile quella di disputare il solo girone di andata per poi passare alle fasi finali, ipotesi presa tuttavia in forte considerazione soprattutto per la ripartenza dei campionati di Serie C1, che sono direttamente collegati con il nazionale attraverso il meccanismo delle promozioni e delle retrocessioni.
Appare difficile, dunque, ipotizzare una soluzione che possa accomunare tutte le realtà territoriali. L’unica che a nostro avviso sarebbe in grado di sintetizzare le necessità complessive risiede nel dare valore alla Coppa Italia attribuendo il titolo sportivo alle società che se l’aggiudicheranno nelle varie sessioni regionali, in considerazione del fatto che alla vincente della fase nazionale viene già riconosciuta l’acquisizione del posto nell’organico cadetto della stagione successiva e questo attribuisce valore giuridico alla nuova determinazione. Non essendoci sostanzialmente i tempi per riorganizzare adeguatamente i singoli campionati regionali o quel che resta di loro, la Coppa Italia risolverebbe il dilemma delle promozioni. Intanto perché comunque è una competizione ufficiale, secondo poi perché ha una formula che può adattarsi alle singole necessità e che si può sviluppare in termini temporali non solo contenuti, ma anche successivi alla conclusione della stagione della Serie B, andando a risolvere anche le questioni legate al rientro dai trasferimenti dibattuta in precedenza.
L’unica eccezione è che in molte regioni sono state giocate alcune partite in attesa che partissero i campionati, ma questo nulla osta al fatto che si possa determinare l’azzeramento “tout court” dei risultati già acquisiti e ridefinire, regione per regione, una formula che - in particolare - possa tenere in conto una omogeneità normativa, finendo per riconoscere alle 19 società vincitrici la promozione in Serie B. E magari avere anche il tempo a disposizione per organizzare la fase nazionale.
Un progetto sul quale si potrebbe concretamente trovare un’ampia convergenza, che possa dare una senso alla stagione della Serie C1, che ripetiamo è legata a strettissimo giro con il mondo nazionale per via dell’interscambio promozioni-retrocessioni. E lo stesso meccanismo sarebbe applicabile parimenti alla Serie C femminile, vivendo le identiche condizioni.
Per gli altri campionati, purtroppo, soluzioni di fattibilità, ad oggi, non ce ne sono: in una stagione in cui ormai pare chiaro che il punto finale è quello di salvare il salvabile, per C2 e D (laddove organizzato) tutto è rimandato al 2021/2022… incrociando le dita.